mercoledì 28 novembre 2012

Ode all'errequattro

Napoli è una città ricca di mistero, di esoterismo e di altre cose quequere di varia forgia. La cappella Sansevero col suo Cristo Velato è uno dei simboli della Napoli occulta, come la chiesa delle cape di morto e la grotta di Maria Cristina. Un simbolo evidente del rapporto dell’antica partenope col mistero è tuttavia sottovalutato. Nulla al mondo può competere con l’alone di mistero che circonda questa entità, ne regola le funzioni vitali e ne gestisce la manutenzione. Stiamo parlando dell’errequattro. Si, proprio di un pullman. Tutti gli autobus di questo mondo prima o poi si scassano, saltano qualche corsa o vengono bloccati da un evento inaspettato. Tutti. Ma uno solo di loro in tutto il pianeta può subire ognuno di questi imprevisti almeno tre volte al giorno per tutta la sua vita utile: l’errequattro. Non esiste manifestazione, concerto o inaugurazione di negozio di abbigliamento che si svolga in centro, che non comporti l’improvviso blocco delle corse del nostro eroe. Erreuno, duecentouno e tutti i loro colleghi continuano a passare , seppure a singhiozzo, ma lui no. Finisce fermo chissà dove e non si muove più. Ma l’errequattro ha un’altra caratteristica peculiare: sparisce. Sparisce nel senso che davvero non si trova più, non si sa che fine faccia. Tu lo vedi bellino e stracolmo (e ci credo, non passava da sei ore) che se ne scende per Via Toledo, ti aspetti di trovarlo che risale per Via S. Anna dei Lombardi e invece no, nel giro per Via Medina lui sparisce inghiottito da qualche buco nero e non risale più, lasciandoti a piedi in omnia saecula saeculorum. Non c’è ancora una teoria scientifica accreditata che possa spiegare il fenomeno e pare che nemmeno la chiamata a “Chi l’ha visto”abbia fornito i risultati sperati. Tuttavia, il mistero ci affascina e, così come Giulio Verne fu rapito dal mito di Atlantide inghiottita dal mare e ne scrisse a riguardo, anche noi abbiamo voluto omaggiare il mito dell’errequattro inghiottito da Piazza Bovio ed abbiamo voluto dedicargli questa ode.

Un giorno, del pericolo sprezzante,
decisi di recarmi a Piazza Dante.
Pensai “già che ci sono e che sto qua”
Mi allungo fino a piazza Carità

Recammi lesto presso la fermata
Convinto di un’attesa risicata
Cercavo all’orizzonte l’errequattro
Speravo comparisse quatto quatto

Ma dopo una mezz’ora d’inazione
avendo ormai imparato la lezione
in barba ad anni d’inattività
Con Gambe in spalla, presi a camminar

E mi avviai con faccia tetra e scura
percorso da rimorsi e da paura
Credetti d’essere preda di magia
Trovare il bus divenne mia mania?

Raggiunta la mia meta in tardo orario
Coi piedi in fiamme e il culo refrattario
Decisi di tornare stanco morto
Sperando ancor nel mezzo di trasporto

Percorsi pochi metri a passi forti
Ed intravidi a piazza Matteotti
Un erre quattro pieno a scatoletta
diretto a piazza Bovio senza fretta

Pensai, povero illuso, “lo intercetto!”
“Mi faccio il giro lungo e poi risalgo”
Mi ridestai “è meglio se lo aspetto”
“dall’altra parte vado e me lo prendo ”

A correr disperato mi affannai
Tagliando verso Via Monteoliveto
Sperando di evitare gli altri guai
E almeno che a salire fosse voto

Pronto a ogni possibile evenienza
Mi riscaldai sgranchendomi le mani
E mi misi in posizione di partenza
Nemmeno fossi ai cento metri piani

Dopo qualche minuto in vana attesa
Assieme a una signora con la spesa
Mi avventurai all’incrocio a Via Medina
nel mezzo della giungla cittadina

Ma quale sortilegio mi ha colpito?
Mi chiedo, il pullman dove sia finito?
Che ci sia un varco interdimensionale
O un fosso, una voragine stradale?

Quell’errequattro porco e maledetto
Perduto si era a Piazza Municipio
“adesso me ne vado”, uno mi ha detto
invece io non mi muovo per principio

Anzi, ci ripenso, e ora mi sposto
E gli sovvengo incontro in senso opposto
Per questo mi giurai“comunque vada
Lo trovo e lo riporto alla sua strada”

Purtroppo non ci fu nulla da fare
Dopo mezz’ora smisi di girare
Quel bus era svanito in pieno giorno
Lasciandomi anche a piedi pel ritorno

Provai ad informarmi:“Brigadiere?”
“Per caso un errequattro avete visto?”
“Guagliò tu tieni voglia di pazziare,
guardate che domande me fa chisto”

Cercai con il supporto della scienza
Le cause di cotanta sparizione
Mi misi ad indagare con pazienza
Cercando qualche manifestazione

Speravo infatti che i disoccupati
Avessero bloccato qualche via
Sognavo gli errequattro parcheggiati
Indietro a scioperanti e polizia.

Invece nulla, manco un dissidente
Nemmeno una voragine sul posto
soltanto qualche cicinquantasette
che sale per Via Roma di nascosto.

Ormai sarà passato qualche anno
E ancora non ho pace per quel giorno
Mi fanno male i piedi a mo’pe’ tanno
Ormai non giro più per lloco attuorno

Un tarlo grande come il garittone
Contorce la mia mente ogni due ore
Ti prego, ora rispondimi erre quattro:
Quel giorno tu che cazzo ‘e fine hai fatto?

mercoledì 21 novembre 2012

Primarie del PD

Cari amici,
La dirigenza del PD si è raccomandata di proporvi un sunto delle caratteristiche salienti dei cinque candidati alle primarie del PD.
Si tratta di una scelta difficile perché al vincitore toccherà il delicato compito di sostenere Monti per altri cinque anni. Quindi vi vogliono preparati.

Cominciamo da Perluigi Bersani. Questo qui è quello che deve vincere. Mettevi una mano sulla coscienza che noi i manifesti elettorali col suo faccione li abbiamo già stampati. E e poco importa se quando sorride somiglia a Gargamella. In caso di vittoria alle primarie Bersani ha alte possibilità di riuscire anche alle elezioni. Gli alti papaveri del PD hanno infatti notato che negli anni scorsi il pelato ha sempre sfondato. Ha molto nociuto alla sua immagine politica una sua foto in cui prendeva un birra da solo. Solo perché non si vede Renzi col grembiulino che gliela serve. Ha iniziato la sua campagna promettendo un grande rinnovamento fra i suoi collaboratori: trombata la giubilata Birba, escluso grande Puffo a causa di vecchie ruggini, si fanno i nomi di John e Solfamì. La sua promessa elettorale più importante in caso di vittoria è la liberazione da D’Alema. Al momento non è dato sapere chi, fra 5 anni, si farà carico della liberazione da Bersani.

Matteo Renzi si propone come il grande rinnovatore. Si vanta di essere il nuovo che avanza ma in molti gli contestano d’essere il vecchio che è avanzato. Sfoggia un zoccolo durissimo di quasi un milione di sostenitori che sarebbero disposti a qualsiasi cosa purché venga eletto a leader del PD. Si tratta dei fiorentini, che venderebbero la madre pur di non averlo come sindaco. Renzi vuole voltare pagina con idee innovative e giovani. Queste gli sarebbero state suggerite, in incontri segreti, da Berlusconi e svariati vecchi tromboni della Finanza. La promessa elettorale più grande di Renzi è attirare elettori di Grillo e del PdL sparandole ancora più grosse. Lo so, sembra incredibile anche a noi. Andasse male il grembiulino gli dona.

Nichi Vendola, rispetto agli altri, parte svantaggiato. Appartiene ad una categoria sociale alla quale l’opinione pubblica associa una bassa moralità, una scarsa affidabilità ed una generale ambiguità. Parliamo, ovviamente, dei Baresi.
Unico uomo al mondo in grado di ordinare un “prodotto discoidale a lievitazione naturale con condimento di polpa di solenacee, latticini a pasta filata e profumazione a mezzo pianta erbacea di tipo annuale” al posto di una margherita.
Celeberrimi i suoi comizi poetici ed arditi che ricordano ai più gli immortali interventi dei grandi oratori della classicità latina. Difatti i suoi cavalli di battaglia sono: linguaggio incomprensibile e temi-antidiluviani. Il suo eloquio ricorda vagamente la perifrastica passiva, nessuno capisce di cosa si tratti, ma vige il tacito accordo di fingere d’aver compreso. La promessa simbolo di Vendola sono i matrimoni gay, o almeno questo è quello che abbiamo capito.
 
Bruno Tabacci, per chi non lo sapesse, è l’altro pelato su cui puntare. Che non si dica che il Pd non ha un strategia vincente. E’ uno dei pochissimi politici che è uscito pulito da Tangentopoli. Ha dovuto nascondere questa macchia per farsi eleggere con l’UDC. Tabbaci ha militato in DC, CCD-UDC, Casa della Libertà e si è perfino riuscito ad alleare con l’API di Rutelli nelle sue due ore di vita ed ora è finito col PD. Il rifiuto del Partito dell’Amore e dell’Unione dei Pensionati gli ha impedito di fare il centro perfetto, con grande rammarico da parte di Cicciolina.
La promessa simbolo di Tabacci è di non fare nulla e continuare a sostenere Monti per altri cinque anni. Quindi, visto che uno vale l’altro, perché non lui?

Laura Puppato: chi era costei? Ecologista e donna pingue, rappresenta sostanzialmente ogni forma di quota rosa, sia in senso femminile che suino. Noi ne siamo grandi fan ed indi eviteremo ogni battuta sul suo nome. Il programma politico della Puppato ruota intorno ad un incremento della green economy: l’economia verde. Ad ogni modo noi non ci illudiamo che l’Italia possa essere più al verde di così.
Le proposte della Puppato sono interessanti, realistiche e migliori di quelle di molti degli altri candidati. Saremmo lieti di spiegarvele ma chi volete che la voti?

Detto ciò, contiamo sul vostro senso civico, sulla vostra coscienza e sulla fiducia che ognuno di noi e di voi pone nel singolo candidato, allo scopo di poter operare una scelta coerente e sicura in vista delle elezioni politiche. E mi raccomando, scegliete bene, avessema fà ca pure stavota 'e primarie d'o Pd 'e vvence Berlusconi?

mercoledì 14 novembre 2012

Sepsa, drugs and rock'n roll


La metropolitana di New York ha quasi 370 km di tracciato e 26 linee che la compongono; quella di Londra addirittura 460 per 13 linee e serve miliardi di passeggeri ogni anno con elevatissima frequenza delle corse, quella di Napoli ha 6 linee esistenti e 4 in costruzione (almeno in teoria) ed un numero imprecisato di stazioni e chilometri di sviluppo, che cambiano ogni giorno, in funzione dei resti romani che vengono scoperti nel sottosuolo. In pratica, troppi galli a cantà e nun schiara mai juorno…..in questi giorni, l’indice è puntato su Cumana, Circumflegrea e Circumvesuviana, vittime di ritardi, guasti a ripetizione, scioperi a sorpresa, deragliamenti e altri disastri, che rendono il loro (dis)servizio una continua sorpresa. Ma se Sparta piange, Atene non ride e così anche il trasporto su gomma è l’equivalente a 4 ruote della pietà del Michelangelo. La realtà è che non si sa nemmeno bene la colpa di chi sia: Sepsa, Circumvesuviana, EAV, Metronapoli e Comune, si rimpallano le responsabilità dei disservizi e, soprattutto, sono tutti senza l’ombra di un quattrino. La Comunità Europea, conoscendo i suoi polli, ci pensa mille volte prima di erogare qualsivoglia finanziamento e così autobus e treni rotti finiscono parcheggiati nelle rimesse, perché mancano i soldi anche per i ricambi più piccoli. Come fare allora per risollevare le sorti del sistema di trasporto su gomma napoletano? La soluzione ce l’abbiamo noi: sublimiamolo, surroghiamolo, anzi: ELIMINIAMOLO! Come dite? Un attimo, un attimo, lasciateci almeno il tempo di spiegare. Avete presente il nostro amico Vesuvio? 
Ecco, immaginate una bella eruzioncina di quelle simpatiche e osservate bene la lava come scende a valle, sfruttando la forza di gravità e scegliendo sempre la strada più agevole. Ecco, il nostro nuovo sistema di trasporto pubblico dovrebbe essere come quella colata lavica. Mettiamo il nostro bel “cratere” (chiamiamolo così, in modo da far vedere che siamo bravi anche col marketing) dove c’è il Cardarelli, e trasformiamolo in un enorme stazionamento di rollerblade collettivi (minimo 10 posti). Si, esatto, proprio i rollerblade, nati per sfruttare l’abbrivio dato dalle pendenze e lanciare i napoletani giù in posizione aerodinamica verso il lungomare. Mettiamola così: vi trovate in zona rione alto e dovete andare al lavoro a Piazza Carlo III. Invece di prendere la macchina o sudare 77 camicie alla ricerca del pullman perduto, vi fate quei 200 metri a piedi, calzate il vostro rollerblade comunitario guidato dai sapienti ex-autisti ANM addestrati all’uso, e vi lanciate come Tomba giù per i Colli Aminei, quindi per i Ponti rossi (qua il tracciato si fa tecnico) e, in pochi minuti e dopo aver allenato il vostro fisico, sarete seduti dietro la vostra scrivania. E poi, dal Cardarelli potrete arrivare al Vomero, a Chiaiano, Marianella, Piscinola, al Centro e, se vi va di fare un po’ di mezzofondo, anche a Fuorigrotta e Posillipo. Ecco, proprio a Capo Posillipo potremmo piazzare un “cratere” che consenta all’utenza di raggiungere il lungomare, Bagnoli, Coroglio, mentre la parte est della città con Stazione, Aeroporto, Cimitero e zona industriale, verrebbe coperta dal “cratere” di Piazza Capodichino, mentre Pianura, Soccavo e zone limitrofe sarebbero servite dal cratere dell’eremo dei Camaldoli. Come finanziare il progetto, direte voi. Bene,  prendiamo tutti i pullman in circolazione e vendiamoli.  Si, vendiamoli, tanto non serviranno più, e monetizziamo il più possibile. Con quei soldi, prendiamo una bella area dismessa della zona industriale, e ci impiantiamo una fabbrica municipalizzata di rollerblade (anche singoli, per stimolare la mobilità sostenibile presso i cittadini) da rivendere anche all’estero, una volta lanciata con successo l’idea. Il personale avanzato dalla riconversione verrebbe istruito a guidare i rollerblade di massa, a fare manutenzione e eventualmente spostato in fabbrica, quindi non si perderebbero posti di lavoro. Anzi! I siffatti rollerblade non sono certo facili da guidare, e le discese di Napoli hanno i loro bei punti critici. Questo diverrebbe lavoro per le imprese edili, impegnate a costruire chicane di rallentamento un po’ ovunque, e per le imprese funebri, impegnate a smaltire i resti di chi ci è rimasto nei tornanti di Via Morghen. E poi, la selezione naturale operata dai curvoni di Via Tasso, significherebbe molto lavoro per ospedali, policlinici universitari, medici generici e specialisti, schiattamuorti e, soprattutto, tanti nuovi contratti a giovani disoccupati che andrebbero a sostituire chi non ce l’ha fatta. Quando il costo del biglietto avrà ripagato le spese iniziali, si potrebbe addirittura mettere in pratica l’intermodalità del trasporto pubblico, installando dei punti di partenza per deltaplani collettivi a S. Martino, Capodimonte ed a Via Caldieri, con tutto il cratere dei Campi Flegrei a disposizione per chi al lavoro vuole andarci godendosi il panorama. Tutto ciò, senza pensare alla possibilità di rivendere ai turisti più spericolati un tour fenomenale e agli utenti abituali che necessitano di fermate intermedie, dei fantastici paracadute monouso rigorosamente municipali. Tutto, ovviamente, da costruire, manutenere e gestire autarchicamente nel capannone affianco a quello dei rollerblade, più semplice di così……
Come dite? Come facciamo a ritornare a casa dato che c’è la salita? Beh, capisco l’entusiasmo, ma non esagerate adesso, in fondo vi abbiamo già risolto il problema dell’andata....


(Illustrazione a cura di Daniele Rossi. Per Info: kt-s@hotmail.it)

domenica 4 novembre 2012

Candele, candelotti e sei lumini….


 
Napoli è la città del sole, la città dell’allegria, del folklore e di tante altre amenità che non stiamo qui ad elencarvi per paura di finire in un quadretto con pizza, camorra e mandolino. Da queste parti non si può parlare di morte, è un argomento tabù al pari dell’ultima sconfitta del Napoli, un discorso da cui sfuggire con tutte le proprie forze, la principale causa di orchite di tutta la provincia. Tuttavia, quando alla fine subentra, se ne celebra la grandezza in ogni maniera. Ovviamente, nel trionfo del trapasso, l’impronta partenopea non può mancare, sotto forma di quella cifra stilistica sobria e misurata che lo contraddistingue, quella pennellata di pochi millimetri, piccola e discreta, che rovina un quadro di 25 metri quadrati. Ecco che allora, affianco a poetici manifesti mortuari con epitaffi scritti con la mano sinistra da un ubriaco, proliferano sontuose cappelle cimiteriali in stile tardogotico-nazionalpopolar-futurista il cui proprietario, ancora in vita, rivaleggia in sanguinose competizioni coi colleghi di pari grado, combattendo con la stessa foga che si utilizzava alla scuole medie per primeggiare quanto a dimensioni del pisello. In una sorta di morra cinese in salsa funebre, i due proprietari si sfidano con colpi proibiti ed a sorpresa: una statua del santo patrono batte il puttino, ma se il puttino è dorato vince, battendo anche il vaso di ceramica di Capodimonte, che sconfigge i vasetti di plastica, ma soccombe alla fioriera in ferro intarsiato, che viene battuta a sua volta da un ritratto giovanile del defunto (possibilmente più magro del reale), il quale perde con la bandiera del Napoli issata sul pennone, ma batte il lampadario in cristallo di Torrescazzetta appeso al centro della stanza. Preambolo alla sepoltura in una bara con serigrafato il golfo di Napoli ripreso da Via Petrarca è il funerale. Alle scene isteriche delle parenti del defunto, che si dibattono disperate coprendo coi loro urli persino le sirene della contraerea, fanno da contraltare i ridolini di chi chiude il corteo inciuciando a colpi di pagaia, cercando con un kayak di non soccombere al tipico fiume di lacrime in piena. Particolarmente apprezzata è la carrozza funebre, specie se dotata di cavalli (rigorosamente a coppie, più ne sono e più è alto il rango del defunto), meglio ancora se ammaestrati ed in grado di compiere evoluzioni coordinate sbattendo gli zoccoli a terra per richiamare l’attenzione di chiunque si trovi nei paraggi dell’evento. Nei migliori vasci dell’antica Partenope, ancora oggi si trovano dei veri e propri tempietti votivi, di solito allocati vicino ad uno specchio (chissà perché), generalmente nelle camere da letto patronali, dove dei finti lumini acquistati a prezzi modici su QVC, illuminano con luce sinistra delle foto ormai scolorite di parenti forse mai conosciuti (e forse mai morti), amici, conoscenti ed ogni altra persona di cui sia stato possibile reperire un’immaginetta ricordo, di quelle che vengono definite “figurelle”. Le figurelle costituiscono l’oggetto della variante femminile della morra cinese di cui sopra, diventano materia di collezioni ossessive da parte delle più rinomate capere, che si sfidano a colpi di “ce l’ho, ce l’ho, mi manca”. In questa sanguinosa guerra, i reciproci parenti, essendo di facile reperibilità per gli sfidanti, non hanno grande valore, ma sono la principale causa di strascini fra le contendenti, impelagate di solito in polemiche di natura dinastica, generate dal fatto che a Napoli si tendono a considerare parenti i tre quarti della popolazione locale. Tra i non parenti, contano molto i negozianti della zona, in particolare macellai e salumieri e non vi dico se nel quartiere c’è un gioielliere o, meglio ancora, un pluripregiudicato. L’età del morto è inversamente proporzionale al valore della figurella: più giovane è il defunto, più pregiata ne è l’immagine, ma non vale l’utilizzo di foto vecchie di 35 anni o ritoccate, né il fatto che il morto dichiarasse un’età inferiore a quella reale. 
La catarsi del culto della morte raggiunge il suo acme mistico e grottesco nel misconosciuto cimitero delle fontanelle. Un gigantesco ossario che riunisce morti senza nome della peste, del colera e di varie follie dei secoli scorsi. Nonostante il posto sia spaventoso e terribile, altro che cimitero indiano, è stato oggetto di venerazione ossessiva. Le anime senza pace dell'ossario venivano allettate da "pie" donne con lumini, preghiere ed una sistemazione consona del teschio (tipo dentro una teca). In cambio il morto doveva concedere in sogno i tanto agognati numeri del lotto, la fertilità ed eventualmente un marito decente. A giudicare dal numero di teche, pare che i teschi fossero degli insospettabili brillanti ruffiani. 
Si sa che il fedele necessita di una segnale per rendersi conto che il miracolo è stato accordato. Se il rogo sacro, l'estasi divina, lo scioglimento del sangue od il classico raggio di sole possono esser per i santi canonici manifestazioni adeguate, le anime del purgatorio non potevano permettersi niente di così appariscente. Opaca lucentezza dei teschi o qualche brina di disgustoso sudore pare sia il massimo concesso. Insomma se il teschio suda o è innaturalmente lucido il matrimonio desiderato è cosa fatta. Potete anche smetterla con la ceretta.
Non è dato sapere qual era il destino riservato ai teschi avari di miracoli o che riuscivano ad arruffianarsi solo mariti fedigrafi o provvisti di suocere scassambrelle. A giudicare dalle macabre leggende che aleggiano, ci sentiamo di escludere che i teschi fossero fisicamente danneggiati. Pena ritrovarseli tutti come invitati al matrimonio con aumenti di spese da infarto. Nonostante ciò riteniamo credibile che i fedeli traditi optassero per le più nefande ed irriferibili iastemme.  
Come prevedibile, anche negli insulti la morte ha il suo ruolo importante. Dire “all’anema e chi t’è mmuorto” a qualcuno, vuol dire offenderne la stirpe non più sulla terra e dare probabilmente il via ad una rissa da antologia, ma a volte non è sufficiente ad esprimere il disprezzo e l’odio che si prova verso di lui. Ecco così comparire i rafforzativi “morti ‘e chi t’è mmuorto”, che offende risalendo nel tempo gli avi dei vostri antenati, oppure “sangue e chi v’è mmuorto”, che ne mette in seria discussione le qualità organiche o ancora “chi t’è stramuorto”, che conferisce consistenza extra al decesso. Ma, così come i guerrieri concedono l’onore delle armi ai loro nemici sconfitti, anche lo jastemmatore riconosce in qualche modo il valore della stirpe dello jastemmato, precisando che le sue interiezioni sono dirette esclusivamente ai migliori elementi della famiglia, quelli veramente degni di nota. Perciò, quando vi diranno “E megli muorti e chi t’è stramuorto”, prima di sfoderare il machete e colpire a morte il vostro avversario, per un attimo commuovetevi ripensando ai vostri avi che, con la loro chiara ed imperitura fama, vi hanno concesso l’onore di poter essere selezionati per insultarvi meglio.