martedì 8 gennaio 2013

Presidè, stammoce accorti!

Come molti di voi sapranno, si avvicina il momento della riapertura dei mercati. No, non parliamo degli agognati saldi né di chissà quali congiunture economiche, parliamo molto più semplicemente di Calciomercato. Anzi, di quello che una volta veniva definito “mercatino di riparazione”. Quanti presidenti, allenatori e giocatori hanno salvato la loro stagione (e spesso anche il loro posto di lavoro) indovinando un acquisto in seconda battuta? E quanti altri invece si sono dovuti impiccare con i lacci degli scarpini di bidoni clamorosi, buoni solo a scaldare panchine, provvisti di menischi fragili come grissini, neanche capaci d'ingravidare qualche autoctona? Negli anni ’80, proprio mentre luminose meteore e indicibili scarzoni si alternavano sotto le insegne delle squadra italiane, il Napoli ha piazzato il colpo del K.O., quello che sostanzialmente salva almeno 50 anni di mala gestione e lascia un segno indelebile: Maradona.
La leggenda narra dei riti voodoo di Ferlanio e Juliano che schiattavano il bambolotto Diego dentro una fetta di casatiello. Sfogliatelle, parmigiane e mozzarelle assicurarono Careca, Alemao, Zola, Fonseca e qualche colpo minore, ma sempre ben assestato. Con l’apertura delle frontiere, anche sotto il Vesuvio la situazione degenerò, complice una società alla deriva. Arrivarono così innumerevoli calciatori o sedicenti tali, molti dei quali stranieri, che ingurgitarono tonnellate di pizza lasciando i tifosi napoletani a desinare con il loro stesso fegato. Fra i primi, forse più meteora che bidone, menzion d’onore per Freddy Eusebio Rincon (il cui banale soprannome la vostra fantasia malata ha sicuramente già immaginato), fresco reduce dalla fallimentare spedizione colombiana ai mondiali, ricordato per i suoi errori clamorosi sottoporta, per la sua inimitabile capacità di dribblare se stesso. Ciononostante, il sudamericano riuscì ad insaccare la porta ben 7 volte (li mortè!) nell’unica stagione passata da queste parti, al punto che il vero colpo alla fine lo fece il Napoli, rivendendo il nostro eroe addirittura al Real Madrid. Pare che anche in quell'occasione ficcarlo in un cartone con la scritta Sony abbia funzionato. Un paio d'anni dopo, il Napoli andò a pescare due perle direttamente in Brasile: Beto e Caio. Evidentemente arrivarono ancora ricoperte delle loro goffa ostrica. Sorvolando sul primo, che forse non ebbe modo di esprimersi al massimo, ci piace soffermarci sul secondo: conosciuto anche come “O doutorinho”, ossia “il dottorino”, per il suo vestire elegante, Caio era capitato in Italia grazie ad uno di quei contrattoni pluriennali e multimiliardari che il geniale Moratti proponeva a chiunque toccasse un pallone in sua presenza. Dopo una stagione al limite del ridicolo all’ombra della Madunina, il Napoli pensò bene di farsene carico per un’altra annata, che lo consegna alla storia ed alla scienza come prova vivente dell'esistenza di un brasiliano intollerante alla rete, dato che riusci nell'impresa di non insaccarla neanche una volta durante la sua permanenza. Tornato a pedate nelle terga in patria, vagabondò fra il Brasile e la serie C tedesca fino a riciclarsi come modello fuori tempo massimo, a 30 anni. Gli anni successivi, fra retrocessioni e assetti societari sempre più traballanti, regalarono altri geni del calcio al Napoli. Il buon José Luis Calderon venne acquistato come fenomeno assoluto (“Il nuovo Batistuta!” titolava la Gazzetta senza specificare che si stava disquisendo del notissimo Ernesto Batistuta, ambiguo macellaio venezuelano di Piazza Carita'), ma fu rispedito infiocchettato al mittente dopo solo 4 mesi. Da par suo, si segnalò l’indomito William Prunier. Virgulto delle giovanili dell'Auxerre, che diede nomi celebri quali Eric Cantona e Basile Boli alla storia, si segnalò come grande talento, ma evidentemente nel ruolo di massaggiatore. Terzino dal passo claudicante e dall’aspetto di un 45enne, William riuscì a farsi un anno intero di vacanza tra le bellezze del golfo, brillando in quella che era la sua vera specialità, ossia rivendersi come campione a club blasonati, visto che in curriculum può vantare anche Olympique Marsiglia, Bordeaux e addirittura Manchester United! Nel frattempo, Pedros ci veniva prestato dal Parma e restituito come nuovo dopo pochi giorni,  la Juve ci mollava il fenomeno Zamboni, che ancora oggi viene ricordato nelle più turpi bestemmie per un clamoroso liscio che propiziò un gol del Lecce ed un Giannini già in pensione veniva ripescato dal campionato svizzero di calcio a 5 per volontà del presto fuggitivo Mazzone. Passata la tempesta, il Napoli tentò la risalita affidandosi al blocco argentino formato da Bordi e Galletti (tredici presenze e due gol in due) per piazzare poi il profeta Zeman in panca, esiliandolo dopo aver raccolto solo 2 punti in 6 partite, e giocare la carta Edmundo, turbolento attaccante brasiliano con una fedina penale da far impallidire i rivali da San Giovanni a Teduccio fino a Coroglio, che sprofondò col Napoli in serie B regalando solo qualche gol intervallato da infortuni vari. Sugli anni in serie B ed in serie C non ci sentiamo di infierire più di tanto, vista la situazione societaria, ma vogliamo comunque ricordare un eroe dimenticato dai più: il mitico Marco Quadrini, che arrivò a Napoli a 22 anni con solo 17 partite giocate da professionista, se ne andò a 25 senza nemmeno riuscire a raddoppiare il bottino e lasciò il calcio a 27 per quello che oseremmo definire una crisi di rigetto. Senza contratto. Degli anni del presidente De Laurentiis restano tanti acquisti discutibili, molti forse avrebbero meritato di più, altri sono quasi incomprensibili, come il misterioso Chavez, sulla cui reale esistenza ancora si dibatte accesamente, l’impenetrabile Hoffer, l’insondabile italo-svede-rumeno Dumitru e il tapiro Vargas, eroe per una notte e brocco clamoroso per il resto dell’anno. Tuttavia, la palma del migliore (?) bidone dell’ultimo decennio va a lui: José Ernesto Sosa. Faccia da scolaretto sul sei-sei e mezzo, tatuaggio sul collo da giovanotto del supermercato, il nostro eroe si presentò come “principito” sulla scorta di tre anni passati al Bayern di Monaco e la nomea di talento incompreso, che ben presto mutò in comprensibilissima fregatura. Trentuno presenze tra campionato e coppe, decine di sontuose dormite sulla linea mediana ed un solo gol, segnato quasi per caso e festeggiato con un’espressione incredula, manco fosse stato il figlio di don Mimì ‘o pizzajuolo dopo aver risolto di tacco la sanguinosa sfida contro i rivali della trattoria “Add’o fetente”.  Trasformato prontamente da “principito” in “uallarito”, fu aiutato dalla protezione civile a fare le valigie verso lidi meno esigenti con i trequartisti narcolettici dell’emisfero australe. Detto ciò, restiamo comunque fiduciosi nel mercatino di riparazione e nelle sorprese che potranno riservarci i nuovi arrivati, mentre, nel frattempo, ci consoliamo con la partenza di Aronica, nella speranza che Aurelione nostro non ci riservi le mirabilie di cui in precedenza, altrimenti quella cosa tricolore che non si può nominare, nun ‘a verimmo cchiù manco c’o cannocchiale! Perciò presidè, stammoce accorti!