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venerdì 8 marzo 2013

Curriculum Vitae


Napoli è la città dell’arte di arrangiarsi, questo è noto ed arcinoto. Anzi, considerando quanto quest’arte sia radicata nel DNA indigeno, si può dire che la città stessa sia un sinonimo dell’arrangio in tutti i campi. Arrangiarsi, lo sappiamo, è la prima regola lavorativa in un posto dove cercare di guadagnarsi la pagnotta non è mai stato facile, nei secoli dei secoli, ma si allarga a qualunque altro campo, dall’elaborazione dei motorini a basso costo, fino alla copia dei compiti a scuola. Per queste ragioni, ci fa davvero strano che il buon Oscar Giannino non sia nato a Napoli. Sia chiaro, nessuno si scandalizza perché qualcun altro ha scritto delle cazzate su un curriculum vitae, tutti noi abbiamo barato almeno una volta, attribuendoci “elevatissima capacità di lavoro in gruppo e risoluzione dei problemi”, omettendo di spiegare il fatto che per “lavoro in gruppo” intendevamo l’esecuzione della Macarena in compagnia di due cugini e per “risoluzione dei problemi” intendevamo la capacità di risolvere quesiti matematici contenenti una divisione massimo a due cifre. Allo stesso modo tutti abbiamo millantato una “eccellente conoscenza dei principali software specialistici”, ben sapendo che è una frase che fondamentalmente non vuol dire una cippa, o un “ottimo inglese, scritto e parlato”, quando al massimo il nostro vocabolario comprendeva quattro parole: play, stop, rew e ffwd, abbreviati come da stereo allegato. Quello che però ci manda letteralmente in visibilio, non è l’aver millantato (o equivocato su) dei titoli importanti quali due lauree ed un master, perché ormai è una pratica talmente diffusa a livello politico, da risultare quasi banale. Il vero tocco di classe, il colpo di genio, il gol in rovesciata da centrocampo è l’aver vantato una fantomatica partecipazione allo Zecchino d’oro, per di più sotto falso nome. Decenni di politica da saltimbanchi sembravano aver esaurito la vena comica dei nostri proto-onorevoli e invece, come un fulmine a ciel sereno, Giannino ha cambiato la storia dell’auto-referenziazione, ha rotto gli argini dell'incredibile per sfociare nell’immenso. Da questo momento, sul curriculum, ognuno può scrivere il cacchio che gli pare, senza avere più limiti, né di fantasia, né di decenza. Prendiamo ad esempio Antimo, 22 anni, sei dei quali passati a fregare portafogli ai turisti nei decumani: chi potrà impedirgli di scrivere nel curriculum (sempre ammesso che ne compili mai uno) “Addetto al servizio di informazione ed accoglienza turistica”? E di Titina, da oltre vent’anni gestrice di una casa d’appuntamenti popolata da maitresse d’oltre balcani, vogliamo parlarne? Per lei, come minimo si può parlare di “Pluridecennale esperienza nella gestione d’impresa e delle risorse umane, con particolare attenzione ai rami dello scouting e del recruitment”. Sasà, subappaltatore a cottimo sin dall’infanzia, specializzato nella pitturazione di interni, potrà sicuramente vantarsi di aver lavorato dal 1985 al 2013 come “Gestore di processi di outsourcing in piccole e medie imprese a gestione familiare”, mentre Lino, che si è reinventato da pochi mesi autista di un pulmino abusivo sulla tratta Piazza Dante - Miano ad € 1,00 a corsa, potrà definirsi “Titolare ed amministratore Unico di un’azienda specializzata nel trasporto charter e low cost su gomma”. Alla fine, non possono mancare all’appello il buon Totonno, stracciafacente da parte di padre, in diritto di scrivere di sé  “Consulente in trading” e il mitico Enzuccio, strozzino per la polizia e cravattaro per il volgo, che potrà definirsi “gestore di un’agenzia specializzata in subprime lending” sul suo curriculum. Non c’è che dire, forse questa tornata elettorale non ci avrà fornito un governo, ma di sicuro ha aperto una nuova era per chi è alla ricerca di un lavoro. E se ve lo diciamo noi, che abbiamo vinto già 2 volte Sanremo, lavorato con Andy Warhol e inventato il frigorifero ad energia solare, potete crederci. 

martedì 8 gennaio 2013

Presidè, stammoce accorti!

Come molti di voi sapranno, si avvicina il momento della riapertura dei mercati. No, non parliamo degli agognati saldi né di chissà quali congiunture economiche, parliamo molto più semplicemente di Calciomercato. Anzi, di quello che una volta veniva definito “mercatino di riparazione”. Quanti presidenti, allenatori e giocatori hanno salvato la loro stagione (e spesso anche il loro posto di lavoro) indovinando un acquisto in seconda battuta? E quanti altri invece si sono dovuti impiccare con i lacci degli scarpini di bidoni clamorosi, buoni solo a scaldare panchine, provvisti di menischi fragili come grissini, neanche capaci d'ingravidare qualche autoctona? Negli anni ’80, proprio mentre luminose meteore e indicibili scarzoni si alternavano sotto le insegne delle squadra italiane, il Napoli ha piazzato il colpo del K.O., quello che sostanzialmente salva almeno 50 anni di mala gestione e lascia un segno indelebile: Maradona.
La leggenda narra dei riti voodoo di Ferlanio e Juliano che schiattavano il bambolotto Diego dentro una fetta di casatiello. Sfogliatelle, parmigiane e mozzarelle assicurarono Careca, Alemao, Zola, Fonseca e qualche colpo minore, ma sempre ben assestato. Con l’apertura delle frontiere, anche sotto il Vesuvio la situazione degenerò, complice una società alla deriva. Arrivarono così innumerevoli calciatori o sedicenti tali, molti dei quali stranieri, che ingurgitarono tonnellate di pizza lasciando i tifosi napoletani a desinare con il loro stesso fegato. Fra i primi, forse più meteora che bidone, menzion d’onore per Freddy Eusebio Rincon (il cui banale soprannome la vostra fantasia malata ha sicuramente già immaginato), fresco reduce dalla fallimentare spedizione colombiana ai mondiali, ricordato per i suoi errori clamorosi sottoporta, per la sua inimitabile capacità di dribblare se stesso. Ciononostante, il sudamericano riuscì ad insaccare la porta ben 7 volte (li mortè!) nell’unica stagione passata da queste parti, al punto che il vero colpo alla fine lo fece il Napoli, rivendendo il nostro eroe addirittura al Real Madrid. Pare che anche in quell'occasione ficcarlo in un cartone con la scritta Sony abbia funzionato. Un paio d'anni dopo, il Napoli andò a pescare due perle direttamente in Brasile: Beto e Caio. Evidentemente arrivarono ancora ricoperte delle loro goffa ostrica. Sorvolando sul primo, che forse non ebbe modo di esprimersi al massimo, ci piace soffermarci sul secondo: conosciuto anche come “O doutorinho”, ossia “il dottorino”, per il suo vestire elegante, Caio era capitato in Italia grazie ad uno di quei contrattoni pluriennali e multimiliardari che il geniale Moratti proponeva a chiunque toccasse un pallone in sua presenza. Dopo una stagione al limite del ridicolo all’ombra della Madunina, il Napoli pensò bene di farsene carico per un’altra annata, che lo consegna alla storia ed alla scienza come prova vivente dell'esistenza di un brasiliano intollerante alla rete, dato che riusci nell'impresa di non insaccarla neanche una volta durante la sua permanenza. Tornato a pedate nelle terga in patria, vagabondò fra il Brasile e la serie C tedesca fino a riciclarsi come modello fuori tempo massimo, a 30 anni. Gli anni successivi, fra retrocessioni e assetti societari sempre più traballanti, regalarono altri geni del calcio al Napoli. Il buon José Luis Calderon venne acquistato come fenomeno assoluto (“Il nuovo Batistuta!” titolava la Gazzetta senza specificare che si stava disquisendo del notissimo Ernesto Batistuta, ambiguo macellaio venezuelano di Piazza Carita'), ma fu rispedito infiocchettato al mittente dopo solo 4 mesi. Da par suo, si segnalò l’indomito William Prunier. Virgulto delle giovanili dell'Auxerre, che diede nomi celebri quali Eric Cantona e Basile Boli alla storia, si segnalò come grande talento, ma evidentemente nel ruolo di massaggiatore. Terzino dal passo claudicante e dall’aspetto di un 45enne, William riuscì a farsi un anno intero di vacanza tra le bellezze del golfo, brillando in quella che era la sua vera specialità, ossia rivendersi come campione a club blasonati, visto che in curriculum può vantare anche Olympique Marsiglia, Bordeaux e addirittura Manchester United! Nel frattempo, Pedros ci veniva prestato dal Parma e restituito come nuovo dopo pochi giorni,  la Juve ci mollava il fenomeno Zamboni, che ancora oggi viene ricordato nelle più turpi bestemmie per un clamoroso liscio che propiziò un gol del Lecce ed un Giannini già in pensione veniva ripescato dal campionato svizzero di calcio a 5 per volontà del presto fuggitivo Mazzone. Passata la tempesta, il Napoli tentò la risalita affidandosi al blocco argentino formato da Bordi e Galletti (tredici presenze e due gol in due) per piazzare poi il profeta Zeman in panca, esiliandolo dopo aver raccolto solo 2 punti in 6 partite, e giocare la carta Edmundo, turbolento attaccante brasiliano con una fedina penale da far impallidire i rivali da San Giovanni a Teduccio fino a Coroglio, che sprofondò col Napoli in serie B regalando solo qualche gol intervallato da infortuni vari. Sugli anni in serie B ed in serie C non ci sentiamo di infierire più di tanto, vista la situazione societaria, ma vogliamo comunque ricordare un eroe dimenticato dai più: il mitico Marco Quadrini, che arrivò a Napoli a 22 anni con solo 17 partite giocate da professionista, se ne andò a 25 senza nemmeno riuscire a raddoppiare il bottino e lasciò il calcio a 27 per quello che oseremmo definire una crisi di rigetto. Senza contratto. Degli anni del presidente De Laurentiis restano tanti acquisti discutibili, molti forse avrebbero meritato di più, altri sono quasi incomprensibili, come il misterioso Chavez, sulla cui reale esistenza ancora si dibatte accesamente, l’impenetrabile Hoffer, l’insondabile italo-svede-rumeno Dumitru e il tapiro Vargas, eroe per una notte e brocco clamoroso per il resto dell’anno. Tuttavia, la palma del migliore (?) bidone dell’ultimo decennio va a lui: José Ernesto Sosa. Faccia da scolaretto sul sei-sei e mezzo, tatuaggio sul collo da giovanotto del supermercato, il nostro eroe si presentò come “principito” sulla scorta di tre anni passati al Bayern di Monaco e la nomea di talento incompreso, che ben presto mutò in comprensibilissima fregatura. Trentuno presenze tra campionato e coppe, decine di sontuose dormite sulla linea mediana ed un solo gol, segnato quasi per caso e festeggiato con un’espressione incredula, manco fosse stato il figlio di don Mimì ‘o pizzajuolo dopo aver risolto di tacco la sanguinosa sfida contro i rivali della trattoria “Add’o fetente”.  Trasformato prontamente da “principito” in “uallarito”, fu aiutato dalla protezione civile a fare le valigie verso lidi meno esigenti con i trequartisti narcolettici dell’emisfero australe. Detto ciò, restiamo comunque fiduciosi nel mercatino di riparazione e nelle sorprese che potranno riservarci i nuovi arrivati, mentre, nel frattempo, ci consoliamo con la partenza di Aronica, nella speranza che Aurelione nostro non ci riservi le mirabilie di cui in precedenza, altrimenti quella cosa tricolore che non si può nominare, nun ‘a verimmo cchiù manco c’o cannocchiale! Perciò presidè, stammoce accorti!



















martedì 25 dicembre 2012

Natale Pride


L'appropinquarsi del Natale è foriero di dibattiti sul mai abbastanza decantato ritorno alla tradizione. Noi, che abbiamo animo conservatore, non possiamo che sollecitare il ritorno al più autentico significato di questa festa antichissima tra le più amate al mondo.
Ma di quali tradizioni parliamo? Che sono, in una festa che vanta millenni di Storia, i pochi secoli d'adozione dell'Albero o la diffusione capillare del Presepio nel tardo settecento? Concedetecelo, ben poco. Nessuna tradizione può considerarsi più autentica della più antica, ed è questa l'unica che merita l'accurata attenzione del restauratore.
E' impossibile sapere con certezza quando sia stato celebrato il primo Natale nel mondo. Esiste però un momento storico specifico in cui esso è stato introdotto in Italia: il 219. Chi lo ha introdotto, chiederete?
Nell'insolito travestimento da Carlo Conti vi offriamo tre possibili opzioni:
A) San Pietro, il padre fondatore della Chiesa.
B) Il Papa, ideatore del cattolicesimo.
C) Un sacerdote adolescente con tendenze transessuali.

La risposta giusta è la C). Eliogabalo, imperatore romano bambino introdusse per primo la festività del 25 Dicembre. Si trattava della festa del Sole Nascente, di cui era sacerdote.
Si sa pochissimo della festa vera e propria. Si trattava di una processione nelle quale un carro senza auriga pareva essere guidato da una pietra nera di forma cilindrica e viveri venivano distribuiti gratuitamente. In ogni modo la gente adorava la festa che perdurò nei secoli. Si sa comunque parecchio di Eliogabalo che, nonostante venisse assassinato a diciottanni, trovò tutto il tempo di sposarsi cinque volte, sverginare vestali (antesignane di suore), intrattenere tresche con giovani aitanti, praticare la prostituzione sacra, promettere metà del suo regno a chi lo avesse provvisto di una vagina ed altre amenità che, per decenza, omettiamo.
Ci fa giocoforza immaginare il primo Natale come una versione, meno sobria, di una gay pride accompagnata da un'orgia, quantomeno culinaria.
La Storia ha mostrata davvero poca clemenza per questo imperatore, ucciso a tradimento dal cugino e dalla sua guardia privata e la cui memoria storica fu insozzata da una storiografia calunniosa e denigratoria che avrebbe fatto impallidire anche Sallusti.
Nei secoli la scarsa affezione per la tradizione di "certi ambienti progressisti" ha condotto a tenere pochi degli elementi introdotti da Eliogabolo, come lo scambio di doni, l'abbondanza di cibo e la vergine che resta in cinta; mentre il resto è caduto un po' in disuso. L'adorazione per il cilindro nero che rappresentava il Sole è stata sostituita dal culto di quadratini di plastica colorati che contengono il Soldo.
Noi, spesso accusati di essere reazionari, ci riteniamo soltanto dei sani tradizionalisti che vorrebbero rivedere un po' più d'integro spirito natalizio. Il nostro animo realista e pragmatico ci impedisce di proporre un secondo gay pride il 24 Dicembre e di adottarne come simbolo un oggetto cilindrico nero. Siamo consci, che uomini in gonnella ammalati di protagonismo mal sopporterebbero di dividere il palco con i gay.
Notiamo però che l'adozione di Eliogabalo nel presepe o sull'albero sarebbe un gradito omaggio postumo e, quanto mai tardivo, per colui che introdusse il Natale in Italia e quindi in tutto l'Occidente. Siamo certi che a lui sarebbe piaciuto trovare la sua effigie in un pastorello ambiguo accanto alla mangiatoia o magari in un angelo transgender impiccato sull’albero assieme gli altri.
 


mercoledì 28 novembre 2012

Ode all'errequattro

Napoli è una città ricca di mistero, di esoterismo e di altre cose quequere di varia forgia. La cappella Sansevero col suo Cristo Velato è uno dei simboli della Napoli occulta, come la chiesa delle cape di morto e la grotta di Maria Cristina. Un simbolo evidente del rapporto dell’antica partenope col mistero è tuttavia sottovalutato. Nulla al mondo può competere con l’alone di mistero che circonda questa entità, ne regola le funzioni vitali e ne gestisce la manutenzione. Stiamo parlando dell’errequattro. Si, proprio di un pullman. Tutti gli autobus di questo mondo prima o poi si scassano, saltano qualche corsa o vengono bloccati da un evento inaspettato. Tutti. Ma uno solo di loro in tutto il pianeta può subire ognuno di questi imprevisti almeno tre volte al giorno per tutta la sua vita utile: l’errequattro. Non esiste manifestazione, concerto o inaugurazione di negozio di abbigliamento che si svolga in centro, che non comporti l’improvviso blocco delle corse del nostro eroe. Erreuno, duecentouno e tutti i loro colleghi continuano a passare , seppure a singhiozzo, ma lui no. Finisce fermo chissà dove e non si muove più. Ma l’errequattro ha un’altra caratteristica peculiare: sparisce. Sparisce nel senso che davvero non si trova più, non si sa che fine faccia. Tu lo vedi bellino e stracolmo (e ci credo, non passava da sei ore) che se ne scende per Via Toledo, ti aspetti di trovarlo che risale per Via S. Anna dei Lombardi e invece no, nel giro per Via Medina lui sparisce inghiottito da qualche buco nero e non risale più, lasciandoti a piedi in omnia saecula saeculorum. Non c’è ancora una teoria scientifica accreditata che possa spiegare il fenomeno e pare che nemmeno la chiamata a “Chi l’ha visto”abbia fornito i risultati sperati. Tuttavia, il mistero ci affascina e, così come Giulio Verne fu rapito dal mito di Atlantide inghiottita dal mare e ne scrisse a riguardo, anche noi abbiamo voluto omaggiare il mito dell’errequattro inghiottito da Piazza Bovio ed abbiamo voluto dedicargli questa ode.

Un giorno, del pericolo sprezzante,
decisi di recarmi a Piazza Dante.
Pensai “già che ci sono e che sto qua”
Mi allungo fino a piazza Carità

Recammi lesto presso la fermata
Convinto di un’attesa risicata
Cercavo all’orizzonte l’errequattro
Speravo comparisse quatto quatto

Ma dopo una mezz’ora d’inazione
avendo ormai imparato la lezione
in barba ad anni d’inattività
Con Gambe in spalla, presi a camminar

E mi avviai con faccia tetra e scura
percorso da rimorsi e da paura
Credetti d’essere preda di magia
Trovare il bus divenne mia mania?

Raggiunta la mia meta in tardo orario
Coi piedi in fiamme e il culo refrattario
Decisi di tornare stanco morto
Sperando ancor nel mezzo di trasporto

Percorsi pochi metri a passi forti
Ed intravidi a piazza Matteotti
Un erre quattro pieno a scatoletta
diretto a piazza Bovio senza fretta

Pensai, povero illuso, “lo intercetto!”
“Mi faccio il giro lungo e poi risalgo”
Mi ridestai “è meglio se lo aspetto”
“dall’altra parte vado e me lo prendo ”

A correr disperato mi affannai
Tagliando verso Via Monteoliveto
Sperando di evitare gli altri guai
E almeno che a salire fosse voto

Pronto a ogni possibile evenienza
Mi riscaldai sgranchendomi le mani
E mi misi in posizione di partenza
Nemmeno fossi ai cento metri piani

Dopo qualche minuto in vana attesa
Assieme a una signora con la spesa
Mi avventurai all’incrocio a Via Medina
nel mezzo della giungla cittadina

Ma quale sortilegio mi ha colpito?
Mi chiedo, il pullman dove sia finito?
Che ci sia un varco interdimensionale
O un fosso, una voragine stradale?

Quell’errequattro porco e maledetto
Perduto si era a Piazza Municipio
“adesso me ne vado”, uno mi ha detto
invece io non mi muovo per principio

Anzi, ci ripenso, e ora mi sposto
E gli sovvengo incontro in senso opposto
Per questo mi giurai“comunque vada
Lo trovo e lo riporto alla sua strada”

Purtroppo non ci fu nulla da fare
Dopo mezz’ora smisi di girare
Quel bus era svanito in pieno giorno
Lasciandomi anche a piedi pel ritorno

Provai ad informarmi:“Brigadiere?”
“Per caso un errequattro avete visto?”
“Guagliò tu tieni voglia di pazziare,
guardate che domande me fa chisto”

Cercai con il supporto della scienza
Le cause di cotanta sparizione
Mi misi ad indagare con pazienza
Cercando qualche manifestazione

Speravo infatti che i disoccupati
Avessero bloccato qualche via
Sognavo gli errequattro parcheggiati
Indietro a scioperanti e polizia.

Invece nulla, manco un dissidente
Nemmeno una voragine sul posto
soltanto qualche cicinquantasette
che sale per Via Roma di nascosto.

Ormai sarà passato qualche anno
E ancora non ho pace per quel giorno
Mi fanno male i piedi a mo’pe’ tanno
Ormai non giro più per lloco attuorno

Un tarlo grande come il garittone
Contorce la mia mente ogni due ore
Ti prego, ora rispondimi erre quattro:
Quel giorno tu che cazzo ‘e fine hai fatto?

mercoledì 21 novembre 2012

Primarie del PD

Cari amici,
La dirigenza del PD si è raccomandata di proporvi un sunto delle caratteristiche salienti dei cinque candidati alle primarie del PD.
Si tratta di una scelta difficile perché al vincitore toccherà il delicato compito di sostenere Monti per altri cinque anni. Quindi vi vogliono preparati.

Cominciamo da Perluigi Bersani. Questo qui è quello che deve vincere. Mettevi una mano sulla coscienza che noi i manifesti elettorali col suo faccione li abbiamo già stampati. E e poco importa se quando sorride somiglia a Gargamella. In caso di vittoria alle primarie Bersani ha alte possibilità di riuscire anche alle elezioni. Gli alti papaveri del PD hanno infatti notato che negli anni scorsi il pelato ha sempre sfondato. Ha molto nociuto alla sua immagine politica una sua foto in cui prendeva un birra da solo. Solo perché non si vede Renzi col grembiulino che gliela serve. Ha iniziato la sua campagna promettendo un grande rinnovamento fra i suoi collaboratori: trombata la giubilata Birba, escluso grande Puffo a causa di vecchie ruggini, si fanno i nomi di John e Solfamì. La sua promessa elettorale più importante in caso di vittoria è la liberazione da D’Alema. Al momento non è dato sapere chi, fra 5 anni, si farà carico della liberazione da Bersani.

Matteo Renzi si propone come il grande rinnovatore. Si vanta di essere il nuovo che avanza ma in molti gli contestano d’essere il vecchio che è avanzato. Sfoggia un zoccolo durissimo di quasi un milione di sostenitori che sarebbero disposti a qualsiasi cosa purché venga eletto a leader del PD. Si tratta dei fiorentini, che venderebbero la madre pur di non averlo come sindaco. Renzi vuole voltare pagina con idee innovative e giovani. Queste gli sarebbero state suggerite, in incontri segreti, da Berlusconi e svariati vecchi tromboni della Finanza. La promessa elettorale più grande di Renzi è attirare elettori di Grillo e del PdL sparandole ancora più grosse. Lo so, sembra incredibile anche a noi. Andasse male il grembiulino gli dona.

Nichi Vendola, rispetto agli altri, parte svantaggiato. Appartiene ad una categoria sociale alla quale l’opinione pubblica associa una bassa moralità, una scarsa affidabilità ed una generale ambiguità. Parliamo, ovviamente, dei Baresi.
Unico uomo al mondo in grado di ordinare un “prodotto discoidale a lievitazione naturale con condimento di polpa di solenacee, latticini a pasta filata e profumazione a mezzo pianta erbacea di tipo annuale” al posto di una margherita.
Celeberrimi i suoi comizi poetici ed arditi che ricordano ai più gli immortali interventi dei grandi oratori della classicità latina. Difatti i suoi cavalli di battaglia sono: linguaggio incomprensibile e temi-antidiluviani. Il suo eloquio ricorda vagamente la perifrastica passiva, nessuno capisce di cosa si tratti, ma vige il tacito accordo di fingere d’aver compreso. La promessa simbolo di Vendola sono i matrimoni gay, o almeno questo è quello che abbiamo capito.
 
Bruno Tabacci, per chi non lo sapesse, è l’altro pelato su cui puntare. Che non si dica che il Pd non ha un strategia vincente. E’ uno dei pochissimi politici che è uscito pulito da Tangentopoli. Ha dovuto nascondere questa macchia per farsi eleggere con l’UDC. Tabbaci ha militato in DC, CCD-UDC, Casa della Libertà e si è perfino riuscito ad alleare con l’API di Rutelli nelle sue due ore di vita ed ora è finito col PD. Il rifiuto del Partito dell’Amore e dell’Unione dei Pensionati gli ha impedito di fare il centro perfetto, con grande rammarico da parte di Cicciolina.
La promessa simbolo di Tabacci è di non fare nulla e continuare a sostenere Monti per altri cinque anni. Quindi, visto che uno vale l’altro, perché non lui?

Laura Puppato: chi era costei? Ecologista e donna pingue, rappresenta sostanzialmente ogni forma di quota rosa, sia in senso femminile che suino. Noi ne siamo grandi fan ed indi eviteremo ogni battuta sul suo nome. Il programma politico della Puppato ruota intorno ad un incremento della green economy: l’economia verde. Ad ogni modo noi non ci illudiamo che l’Italia possa essere più al verde di così.
Le proposte della Puppato sono interessanti, realistiche e migliori di quelle di molti degli altri candidati. Saremmo lieti di spiegarvele ma chi volete che la voti?

Detto ciò, contiamo sul vostro senso civico, sulla vostra coscienza e sulla fiducia che ognuno di noi e di voi pone nel singolo candidato, allo scopo di poter operare una scelta coerente e sicura in vista delle elezioni politiche. E mi raccomando, scegliete bene, avessema fà ca pure stavota 'e primarie d'o Pd 'e vvence Berlusconi?

mercoledì 14 novembre 2012

Sepsa, drugs and rock'n roll


La metropolitana di New York ha quasi 370 km di tracciato e 26 linee che la compongono; quella di Londra addirittura 460 per 13 linee e serve miliardi di passeggeri ogni anno con elevatissima frequenza delle corse, quella di Napoli ha 6 linee esistenti e 4 in costruzione (almeno in teoria) ed un numero imprecisato di stazioni e chilometri di sviluppo, che cambiano ogni giorno, in funzione dei resti romani che vengono scoperti nel sottosuolo. In pratica, troppi galli a cantà e nun schiara mai juorno…..in questi giorni, l’indice è puntato su Cumana, Circumflegrea e Circumvesuviana, vittime di ritardi, guasti a ripetizione, scioperi a sorpresa, deragliamenti e altri disastri, che rendono il loro (dis)servizio una continua sorpresa. Ma se Sparta piange, Atene non ride e così anche il trasporto su gomma è l’equivalente a 4 ruote della pietà del Michelangelo. La realtà è che non si sa nemmeno bene la colpa di chi sia: Sepsa, Circumvesuviana, EAV, Metronapoli e Comune, si rimpallano le responsabilità dei disservizi e, soprattutto, sono tutti senza l’ombra di un quattrino. La Comunità Europea, conoscendo i suoi polli, ci pensa mille volte prima di erogare qualsivoglia finanziamento e così autobus e treni rotti finiscono parcheggiati nelle rimesse, perché mancano i soldi anche per i ricambi più piccoli. Come fare allora per risollevare le sorti del sistema di trasporto su gomma napoletano? La soluzione ce l’abbiamo noi: sublimiamolo, surroghiamolo, anzi: ELIMINIAMOLO! Come dite? Un attimo, un attimo, lasciateci almeno il tempo di spiegare. Avete presente il nostro amico Vesuvio? 
Ecco, immaginate una bella eruzioncina di quelle simpatiche e osservate bene la lava come scende a valle, sfruttando la forza di gravità e scegliendo sempre la strada più agevole. Ecco, il nostro nuovo sistema di trasporto pubblico dovrebbe essere come quella colata lavica. Mettiamo il nostro bel “cratere” (chiamiamolo così, in modo da far vedere che siamo bravi anche col marketing) dove c’è il Cardarelli, e trasformiamolo in un enorme stazionamento di rollerblade collettivi (minimo 10 posti). Si, esatto, proprio i rollerblade, nati per sfruttare l’abbrivio dato dalle pendenze e lanciare i napoletani giù in posizione aerodinamica verso il lungomare. Mettiamola così: vi trovate in zona rione alto e dovete andare al lavoro a Piazza Carlo III. Invece di prendere la macchina o sudare 77 camicie alla ricerca del pullman perduto, vi fate quei 200 metri a piedi, calzate il vostro rollerblade comunitario guidato dai sapienti ex-autisti ANM addestrati all’uso, e vi lanciate come Tomba giù per i Colli Aminei, quindi per i Ponti rossi (qua il tracciato si fa tecnico) e, in pochi minuti e dopo aver allenato il vostro fisico, sarete seduti dietro la vostra scrivania. E poi, dal Cardarelli potrete arrivare al Vomero, a Chiaiano, Marianella, Piscinola, al Centro e, se vi va di fare un po’ di mezzofondo, anche a Fuorigrotta e Posillipo. Ecco, proprio a Capo Posillipo potremmo piazzare un “cratere” che consenta all’utenza di raggiungere il lungomare, Bagnoli, Coroglio, mentre la parte est della città con Stazione, Aeroporto, Cimitero e zona industriale, verrebbe coperta dal “cratere” di Piazza Capodichino, mentre Pianura, Soccavo e zone limitrofe sarebbero servite dal cratere dell’eremo dei Camaldoli. Come finanziare il progetto, direte voi. Bene,  prendiamo tutti i pullman in circolazione e vendiamoli.  Si, vendiamoli, tanto non serviranno più, e monetizziamo il più possibile. Con quei soldi, prendiamo una bella area dismessa della zona industriale, e ci impiantiamo una fabbrica municipalizzata di rollerblade (anche singoli, per stimolare la mobilità sostenibile presso i cittadini) da rivendere anche all’estero, una volta lanciata con successo l’idea. Il personale avanzato dalla riconversione verrebbe istruito a guidare i rollerblade di massa, a fare manutenzione e eventualmente spostato in fabbrica, quindi non si perderebbero posti di lavoro. Anzi! I siffatti rollerblade non sono certo facili da guidare, e le discese di Napoli hanno i loro bei punti critici. Questo diverrebbe lavoro per le imprese edili, impegnate a costruire chicane di rallentamento un po’ ovunque, e per le imprese funebri, impegnate a smaltire i resti di chi ci è rimasto nei tornanti di Via Morghen. E poi, la selezione naturale operata dai curvoni di Via Tasso, significherebbe molto lavoro per ospedali, policlinici universitari, medici generici e specialisti, schiattamuorti e, soprattutto, tanti nuovi contratti a giovani disoccupati che andrebbero a sostituire chi non ce l’ha fatta. Quando il costo del biglietto avrà ripagato le spese iniziali, si potrebbe addirittura mettere in pratica l’intermodalità del trasporto pubblico, installando dei punti di partenza per deltaplani collettivi a S. Martino, Capodimonte ed a Via Caldieri, con tutto il cratere dei Campi Flegrei a disposizione per chi al lavoro vuole andarci godendosi il panorama. Tutto ciò, senza pensare alla possibilità di rivendere ai turisti più spericolati un tour fenomenale e agli utenti abituali che necessitano di fermate intermedie, dei fantastici paracadute monouso rigorosamente municipali. Tutto, ovviamente, da costruire, manutenere e gestire autarchicamente nel capannone affianco a quello dei rollerblade, più semplice di così……
Come dite? Come facciamo a ritornare a casa dato che c’è la salita? Beh, capisco l’entusiasmo, ma non esagerate adesso, in fondo vi abbiamo già risolto il problema dell’andata....


(Illustrazione a cura di Daniele Rossi. Per Info: kt-s@hotmail.it)