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venerdì 17 gennaio 2014

Il Boss dei Mercimoni


Abbiamo provato a fare finta di niente. Ci sembrava di aver già sfottuto abbondantemente il settore matrimoniale sul nostro libro nel capitolo O' sposalizio, che i più fedeli tra voi rammenteranno. Eppure, potevamo non notare la suocera che si addobba con un leopardato viola per far pendant con il corredo della camera da letto? Avremmo dovuto tacere delle serenate neomelodiche che coinvolgono tutto un rione? Potevamo guardarci di nuovo allo specchio, soprassedendo sulla suocera che si dibatte col ueddinflauer per il diritto ad una renna fosforescente sul tavolo della sposa?
No, non credo.
Se non l'avete ancora capito parliamo del mitico programma in onda su Real Time: “Il Boss delle Cerimonie”. Chi ha visto l'originale serie americana sui matrimoni zingari non avrebbe mai pensato che potesse esistere qualcosa di ancora più triviale e primitivo. Evidentemente non solo esiste ma non è neanche tanto lontano. Lo show è basato sul contrasto tra due elementi. Sale sfarzose con addobbi rococò che il Re Sole stesso avrebbe ritenute eccessive, invase da orde di selvaggi che terrorizzerebbero Attila in persona.
Si comincia con una panoramica della villa dove si svolge la “cerimonia” (da intendere nel senso partenopeo di esagerata riverenza). La voce della speaker, abituata a commentare gli spot degli assorbenti con le ali, lascia subito trapelare una sottile vena sarcastica. Segue la presentazione del boss della Villa. Uomo di poche parole (almeno in italiano), che sovrintende dall’alto e riceve ospiti manco fosse il Papa, e che non disdegna la catenozza d'oro su delle camicie di seta cosi zammare che riuscirebbero a trasformare Rodolfo Valentino in Mimmo Dany. Uno stile che noi non vorremmo definire “da camorrista”, ma che definiremo “alla Mario Merola versione moderna”, che poi è la stessa cosa.
Questo losco figuro lascia il palco al genero Matteo, ben vestito ed educato e con un nome talmente musicale rispetto al contesto, da far sospettare che si tratti di uno pseudonimo. È lui l'antieroe del dramma, l'unico della serie che riesce a mettere in fila due frasi complete in italiano con tutti i verbi giusti. Il suo contrappasso, per il terribile misfatto della conoscenza grammaticale, consiste nel dover discorrere con il parentume degli sposi su come organizzargli il banchetto più tamarro possibile. Inoltre gli tocca di fingere di non notare gli strafalcioni dei genitori i quali, inorgogliti dalla telecamera, si lanciano in improbabili declinazioni di verbi scovati la notte prima sul dizionario (“tutto va come prefisso”), e si esibiscono in parole straniere gongolanti di k come “Cokktèl” o latine (che poi per loro sempre straniere sono) come “magna pompa”, che lascia aperti interrogativi non di poco conto. Poca roba comunque di fronte ad una donna che si presenta come Mannaggment musicale (qualunque cosa significhi), e ad uno sposo dotato di un maglione che ricorda da vicino un saio francescano
Toccanti i tentativi di Matteo di limitare gli eccessi della coppia di sposi i quali non cederanno di un passo nelle loro assurde richieste. Il cibo è “peccato buttarlo”, ma deve sempre avanzare. I nonni vogliono una cerimonia sobria e naturale, per questo il viados che manipolerà gli invitati è meglio non operato e così via.
Finalmente la telecamera mostra pietà del povero Matteo e si concede un flashback sulla temibilissima serenata pre-nuziale. La sposa preferirebbe che il fidanzato andasse ad ingolfarsi di alcool in compagnia di qualche spogliarellista, ma lui si presenta puntuale umiliandosi davanti a tutto il rione guidato da un “cantante” neomelodico improvvisato. Pur di farlo zittire lei scende e lo bacia, anche per venti minuti, attirandosi le ire delle vegliarde della famiglia che trovano il gesto, di fronte a tutto il rione, troppo “compromettente”, nonostante lei sia incinta di due mesi.
Il programma si allunga per altri venti minuti, ma a quel punto il Prozac, che avevamo assunto dopo i primi fotogrammi, aveva già cominciato a fare effetto, facendoci perdere la performance di Mauro Nardi. Non senza rimpianti.
Ci teniamo a precisare, per i nostri amici del Norde, che non tutti i napoletani si sposano in tale maniera chiassosa e pacchiana. In realtà oggidí, la maggioranza dei Napoletani una cerimonia del genere non se la può permettere.
Nel corso della trasmissione aleggia mistero sui costi, malgrado gli zii dichiarino in un’intervista che per una cerimonia del genere “ci vuole un banco di soldi” e nostre fonti confermano che gli strozzini avrebbero già sequestrato il malcapitato cugino dello gnoro. Ad ogni modo, se lo spettacolo non fuga dubbi sull'annosa questione se i soldi possano comprare la felicità, di certo chiarisce che non essi non ci si può comprare neanche un briciolo di classe (tacendo della cultura). L'evidenza mostra che è possibile spendere un patrimonio, ma sembrare sempre dei morti di fame.

domenica 10 febbraio 2013

Carnival Party

Poche festività riescono ad esprimere con tanta veemenza il loro spirito autenticamente partenopeo come il Carnevale. Non vi sono altre feste che possano sposare efficacemente tradizione e trasgressione, l'arte di arrangiarsi ed un'anima profondamente vaiassa (per i nordici caciarona). Tutti almeno una volta nella loro vita, hanno indossato un costume della tradizione, Pulcinella in primis. Che si poteva sempre "apparare" con un lenzuolo pulito e fregando la maschera in una bottega di souvenir. Ai lestofanti meno abili sarà toccata la divisa o l’uniforme di uno dei genitori per trasformarsi in piccoli ferrovieri e piccole infermierine. Concediamo il sollievo dell'oblio ai pochi che hanno dovuto indossare il kimono di Judo ed, azzeccando un bollino rosso sulla cintura indossata come fascia, hanno preteso d'impersonare il più squallido dei karate kid. Ecco, questo se siete di qualunque posto del mondo, ma se avete natali partenopei, beh, allora di sicuro almeno una volta avrete esagerato con un travestimento oltre il limite del ridicolo. Si, perché qua a Napoli, diciamocelo, i carnevali di Viareggio e di Rio ci fanno veramente un cosiddetto. 
I cantanti pre-neo-melodici hanno avuto il loro momento di gloria emulativa negli anni '70. Caschetti biondo-paglia e denutrizione per interpretare Nino D'Angelo, e riempimenti vari per eguagliare la pinguedine di SuperMario Merola. Alle ragazzine, che sognavano Carmen Russo, toccava bardarsi con le famose zizze di plastica che tanto impazzavano in quel periodo. Ma il must assoluto, è sempre sta lui: Diego Armando Maradona. C’è stato chi, negli anni d’oro del pibe, ha avviato un vero e proprio commercio in parrucche riccie, come immortalò De Crescenzo in uno dei suoi film, maglie pezzottate e ogni altra forma di gadget potesse riguardare l’ultimo re di Napoli. Oggi, tra un Cavani ed un altro, il modo migliore per ledere la propria dignità carnascialesca, è diventato lo stesso che ha trasfigurato il presepe tradizionale di San Gregorio Armeno, ossia travestirsi da personaggi protagonisti della cronaca, possibilmente nera e possibilmente dalla parte del torto. Siamo onesti: a chi, se non ad un partenopeo, poteva venire la malsana idea di travestire un bimbo di pochi mesi (e il suo passeggino) da capitano Schettino alla guida della Costa Concordia?  E allo stesso modo, a quanti commercianti al di fuori del centro storico poteva l’idea di partire da un qualunque mascheramento da bifolco per rivenderlo come uno da MicheleMisseri? Al confronto, un bimbo annerito con la fuliggine per trasformarsi in Balotelli, diventa perlomeno banale. Per questo, non meravgliatevi se il piccolo Aniello, dopo aver visto i cugini carnali Aniello e Aniello (la famosa zopponta..) vestiti da palo e rapinatore, smetta i panni di Garibaldi per uccidere l'altro cugino Aniello, vestito da Vittorio Emanuele in visita a Teano.  Nelle settimane precedenti la festa, orde di genitori cui nemmeno "Nessuno tocchi Caino" offrirebbe appoggio, si riversano in Villa Comunale e nel Bosco di Capodimonte per portare in ostensione i propri criaturi travestiti da Tarzan, facendogli come minimo venire una mossa, viste le temperature invernali.  Basta poco per capire come il gesto, teoricamente innocente, sia in realtà un profondissimo atto di sfida nei confronti degli altri genitori, per poter dire con fierezza, da Carminiello ‘o parrucchiere, pancia in dentro e petto in fuori, che il costume più bello è proprio quello da baldracca indossato da Cira, 2 anni, ora in rianimazione a seguito di una crisi di ipotermia. Ammesso che la piccola se la cavi, al supplizio dell’uscita settimanale, si aggiungerà quello del servizio fotografico da Lello ‘o fotografo il quale, alla modica cifra di 250 euro (“ma sulo pecchè site vuje, signò”), fornirà: numero tre poster della criatura (uno per i genitori e due per i nonni), un calendarietto da tavolo in carta lucida ed uno da parete, da appendere rigorosamente a lato del frigo in cucina. La madre, a questo punto, può ritenersi soddisfatta, il padre può ritenersi salassato e la figlia può ritenersi invalida al 40%, ammesso che sopravviva all’ipotermia. Il modo totalizzante di vivere le feste a Napoli, si vede anche in come viene messo in atto il detto “a Carnevale, ogni scherzo vale”. No, non stiamo parlando di innocenti telefonate notturne al sapor di pernacchia, e nemmeno di banalissimi gavettoni con palloni pieni d’acqua, stiamo parlando di quegli scherzoni tipici che consistono nel ricoprire il malcapitato di uova più o meno marce e, in alcuni casi, anche di farina. Lo scherzo viene infatti preparato in maniera estremamente meticolosa: attorno ad un tavolo, di notte ed in uno scantinato, con una pianta dettagliata dell’area di intervento, come Eisenhower ed i suoi colonnelli prima dello sbarco in Normandia, si riuniscono il comandante delle operazioni ed i suoi degni accoliti. Aiutandosi con punesse, fotografie del luogo e resoconti di appostamenti nelle giornate precedenti, i nostri provano ripetutamente la strategia di attacco e approntano piani d’emergenza e di fuga nel caso in cui l’aggredito dovesse essere dotato di armi per il contrattacco. Infatti, a meno di puntare su un soggettone sicuramente sprovvisto di contraerea, di solito gli agguati sono rivolti a persone che, anche un minimo, ma hanno facoltà di reagire. Ad ogni modo, la furia ovificatrice del commando d’azione di solito non si placa dopo aver colpito il malcapitato, ma, come un diavoletto della Tasmania in preda al suo raptus post orgasmico, colpisce chiunque gli si pari dinanzi nei momenti successivi, fino all’esaurimento della scorta di munizioni. In questo caso, si salvi chi può. Ci sentiamo infine di dare un consiglio a tutti gli omaccioni che vogliano trascorrere il martedì grasso in abiti femminili: Attenzione! Stiamo parlando di uno dei travestimenti più pericolosi che esistano. Non tanto per i rischi intrinseci, ma per il barbaro rituale che segue: la visita ad uno dei luoghi di passeggio con discesa del travestito dalla macchina. Ebbene, è ora che qualcuno lo dica una volta per tutte: SE SCENDETE, VI LASCIANO LÁ! E se tengono assai cazzimma, non vi vengono più a prendere e dopo avete voglia di votarvi a Platinette, vi scommano di sangue!

lunedì 17 dicembre 2012

Aridatece Mario!

In questi giorni volgono al termine le ennesime serie di “Squadra Antimafia” e “RIS”,che fanno il paio con le “Squadre” e i “Distretti di polizia” del passato. Azione, intrighi, ogni tanto qualche zizza e, soprattutto, sparatorie a profusione, fanno di queste serie un must per chi passa le sue serate a casa. Le trame sono una continua lotta tra il bene e il male e proprio gli scontri a fuoco si contrappongono ai lieti finali che (quasi) sempre chiudono le singole puntate. Ecco, proprio di questo vogliamo parlarvi. Prendiamo una scena qualunque di una di queste fiction ed esaminiamo la fase della sparatoria: il boss in persona, coi suoi più stretti collaboratori, in pieno giorno, giacca e cravatta, fa irruzione con camminata decisa in un luogo qualunque, MA……ad un certo punto intervengono le forze dell’ordine, che avevano capito tutto, e parte una carneficina da antologia. Innanzitutto tutti i malviventi, in rigoroso completo della festa e con una misera rivoltella in mano, sono stati addestrati in campi talebani perché, ad ogni colpo sparato, corrisponde almeno un morto tra le forze dell’ordine. Dal canto loro i poliziotti, pur scaricando coi loro mitra una riserva di munizioni buona per una riedizione del Vietnam, non riescono a colpire nessuno, fatti salvi un paio di sgherri minori di importanza pari a zero ma, soprattutto, vengono trapassati da proiettili come se i loro caschi e giubbotti antiproiettile fossero di ricotta. Nella prima puntata,possibilmente, uno dei colpiti a morte è un protagonista storico della serie,mentre almeno un altro viene sparato in testa, va in coma e, ammesso che non ci passi tutte le puntate per risvegliarsi all’ultima, diventa il cliffhanger per la stagione successiva. Non una lacrima o uno strepito sui morti non protagonisti, neanche la possibilità di una vaga agonia, tutti morti sul colpo, nessun funerale e, in generale, l’oblio quasi istantaneo. Poco pathos, dunque,e pochissimo dialogo tra i protagonisti, se si esclude il piagnisteo finale della prima puntata. Ma questo a noi non va bene. Noi siamo stati abituati in un altro modo, a  noi piaceva Mario Merola. Come dice il poeta: "la penna ferisce piu' della spada". Mario, inconsapevole fautore di questa massima, ha sempre lasciato che fosse la sua favella a colpire prima e meglio del mitico papagno a mano aperta.
Nei film del mito intramontabile non c'è lotta che non sia annunciata da sguardi astiosi ed interminabili ed obnubilanti discorsi di mezz’ora su valori universali quali l’onore,il rispetto e il buon nome della famiglia. Il malamente e' colpito dell'umiliazione pubblica d'essere messo all'indice da Mario, soffre nell'udire le sue canzone strappalacrime e muore a causa della sua incapacita' di piangere. I proiettili, forti delle iastemme di Mario, possono compiere tutti i prodigi necessari all'eliminazione del malamente. Essi sono quasi lanciati dalla pistola del mitico Mario che la brandisce come fosse un martello e spara come se stesso accoltellando qualcuno. Ovvero accompagnando il proiettile col movimento della sua mano ed incattivendo il colpo con la sua migliore espressione di odio bovino. I proiettili, a quel punto, sono pronti a tutto. Sfidano l'oscurità', viaggiano per km, aggirano gli angoli e uccidono sempre l'avversario di Mario. 
In pochi hanno saputo riconoscere la grandezza espressiva dello stile di Mario.  Ricordiamo, tra gli intramontabili, I “Cavalieri dello zodiaco” che univano alle discussioni interminabili un'ignoranza in mitologia che avrebbe potuto imbarazzare anche Lui. 
Ma il meglio dell'ermeneutica da sceneggiata pugnace, lo si raggiungeva con Mario vittima dell’agguato. La scena del ristorante di “Serenata calibro 9” è uncapolavoro assoluto: prima la festa (‘a comunione d’o piccirillo), poi Mario viene invitato a cantare una canzone (e chi se l'aspettava), quindi irrompono sulla scena i criminali mascherati, (ahimé alla fine dell'esecuzione) sparano all'impazzata e fuggono con una capriola degna del miglior Klaus Dibiasi. Il capolavoro finale è bello che servito, con nuova canzone strappalacrime cantata dal Nostro, mentre abbraccia moglie e figlio, uniche vittime di una sparatoria da 568 colpi. Il sentimento, appunto, ed anche il piagnisteo. Il tutto condito da quell'irrealta' palpabile, dalle canzoni a fronna ‘e limone, dove nessuno muore senza avere prima il tempo di un ultimo struggente addio. Struggimento contro effetti speciali, finzione scenica contro realtà. Se volevamo la realtà mica la accendevamo la TV? 
Le vette inimitabili meroliane purtroppo non sono state più raggiunte. L’erede designato Gigi D’Alessio, dopo aver minacciato di morte Giorgio Mastrota in “Cient’anne”, ha virato cambiando genere e il buon Karim Capuano ne “Il latitante” è riuscito a smuovere il nostro sentimentalismo solo dal piloro in giù.  Come si pretende allora che ci si possa affezionare a delle fiction veloci e ricche di azione? Impossibile! Dateci fermo immagine lunghissimi, lunghi monologhi vis-à-vis in salsa truce, canzoni disperate con vibrati forti al punto da far scattare i sismografi esaremo tutti incollati davanti alla vostra fiction. Insomma, aridatece Mario Merola…